#WebSicuro , come tutelare i nostri diritti anche in rete.
Il web è ormai un’estensione naturale della vita reale e quotidiana. Opportunità come minacce si insinuano nei meandri della rete. Come fare a tutelarsi e quali sono le accortezze da tenere a mente quando si naviga sul web, lo chiediamo a Stefano Rossetti, avvocato esperto in diritto penale dell’informazione e dottorando di ricerca presso l’Università di Amburgo.
Avvocato quali sono i reati più comuni legati all’utilizzo del web?
La domanda è molto ampia. In termini generali, possiamo dire che esiste un primo nucleo di reati, appartenenti al c.d. diritto penale classico, che, con l’avvento di internet e dell’informatica, ha riscoperto una, chiamiamola così, “seconda giovinezza”. Si tratta di fattispecie “storiche”, quali ad esempio la diffamazione (Art. 595 c.p.), l’ingiuria (ora depenalizzata), il furto di identità (Art. 494 c.p.) e la truffa (Art. 640 c.p.).
Esiste poi un secondo nucleo di reati, più specialistico, che per comodità possiamo definire come “reati informatici”. Si tratta di fattispecie sempre più comuni nelle aule di Tribunale, nascono con internet, e puniscono condotte realizzabili prevalentemente in ambito telematico. Solo per citarne alcuni, accesso abusivo a sistema informatico (Art. 615-ter c.p.), detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso (Art. 615-quater c.p.), violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza (Art. 616. c.p.), intercettazione illecita di comunicazioni informatiche ( Art. 617-quater c.p.).
Oggi gli utenti italiani secondo lei sono in grado di riconoscere e rivendicare la tutela dei propri diritti online o vedono ancora la rete come qualcosa di virtuale e distaccata dalla realtà?
Nel corso degli ultimi anni la sensibilità sul punto è diventata sempre maggiore. Le persone iniziano ad essere consapevoli dell’importanza del proprio “riflesso” digitale, ed è naturale, se solo per un attimo pensiamo a quanta parte della nostra vita affidiamo a internet. Documenti di lavoro, fotografie, conversazioni, appunti personali, vetrine virtuali di attività economiche. La nostra vita si sta spostando online, ma i danni che possiamo ricevere sono assolutamente reali. Una povera ragazza, qualche tempo addietro, si è tolta la vita per via del senso di impotenza e umiliazione derivante dalla pubblicazione di alcuni suoi video intimi. Le aziende affidano il proprio successo anche ai feedback che ricevono online. Un semplice account email contiene informazioni riservate, le nostre convinzioni politiche e religiose e – perché no? – anche dati sanitari. Insomma, la nostra vita online è la realtà, siamo noi, proiettati e forse vagamente distorti, ma quel che accade tra i bit e i byte di internet ha ricadute spesso drammaticamente concrete, e le persone iniziano a rendersene conto.
Quali accortezze dovremmo seguire e quali sono le indicazioni che sente di dare in caso di violazione dei propri diritti sul web?
Gli accorgimenti tecnici sono quelli che permettono di non compromettere la sicurezza del nostro computer. Si possono intuire facilmente: password e siti sicuri, programmi di provenienza certificata, e un po’ di sana diffidenza davanti a certe richieste pervenute via email (specie se comportano la comunicazione di informazioni riservate).
Se poi, nonostante gli accorgimenti, si finisce nella trappola, il primo suggerimento è di mantenere la calma. L’ordinamento giuridico fornisce numerosi strumenti di tutela. In linea di massima, in questi casi, occorre essere rapidi, contattare un legale e definire con lui una strategia d’azione rapida ed efficace. Per esempio, i dati di connessione dei malintenzionati, detenuti dai provider, vengono cancellati dopo alcuni mesi, ed è invece fondamentale acquisirli per individuare la persona fisica e avviare il procedimento, penale o civile.
Privacy e legalità, come salvaguardare la prima in un contesto di difficoltà come quello che stiamo vivendo?
Nel corso degli ultimi decenni l’equilibrio tra privacy e controllo statale è mutato in modo sensibile. La presenza di fenomeni imponenti e preoccupanti, come il terrorismo internazionale, ha spinto i legislatori nazionali a comprimere il bene giuridico della riservatezza, sulla base dell’assunto che un maggiore controllo sulle comunicazioni permette un maggiore controllo su soggetti potenzialmente pericolosi.
Un discorso in parte comprensibile, che però non dovrebbe mai farci dimenticare gli effetti che un controllo illimitato può avere su beni giuridici fondamentali, quali la libertà di comunicare liberamente, e di liberamente vivere, obiettare ed esprimersi. Queste considerazioni sono state fatte proprie dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che, se da un lato ha accolto la giustificazione statuale (controllare per proteggere), dall’altra ha rifiutato l’idea che, sulla base di simile esigenza, sia possibile, per lo Stato, arrogarsi poteri di accertamento praticamente illimitati.
Limitare la privacy è possibile, dunque, ma gli Stati devono essere costantemente monitorati per verificare che non vi siano ingerenze sproporzionate su altri beni giuridici meritevoli di tutela.
Cyberbullismo, furti d’identità, e frodi online c’è un vuoto normativo o l’Italia dispone degli strumenti adeguati per tutelarsi
Mi permetta di fare su questo punto una piccola distinzione.
Partirei da furti di identità e frodi online. Sotto questo profilo, da un punto di vista astratto, il nostro ordinamento prevede già delle fattispecie di reato applicabili. Si pensi alla fattispecie di sostituzione di persona (Art. 494 c.p.), o ai delitti di truffa e frode informatica (rispettivamente Artt. 640 e 640-ter c.p.). Un esempio abbastanza frequente nella pratica è il seguente: Tizio ruba l’identità di Caio, mio amico su Facebook, mi contatta (sostituzione di persona) e mi chiede un aiuto economico per una situazione di emergenza (artifici e raggiri), io preoccupato gli scrivo in chat il numero della mia carta di credito, che lui poi utilizza per un acquisto (truffa perfezionata online). In questi casi, come si può vedere, le disposizioni già presenti permettono di “intercettare” la condotta di reato (e dunque di richiederne la punizione).
Il cyberbullismo merita un discorso a parte. Il fenomeno è regolato dalla recentissima legge n. 71 del 29 maggio 2017 che punisce qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto e diffamazione finalizzata a isolare un minore. Va dato atto che il legislatore, in questo caso, ha “compreso” la delicatezza dell’argomento e di conseguenza previsto strumenti efficaci per il suo contrasto. La parte lesa, per esempio, può richiedere al social network la rimozione del contenuto, e la risposta deve pervenire in tempi strettissimi (circa 24 ore). Se il provider non risponde, si può chiedere l’intervento del Garante per la protezione dei dati personali e ottenere un provvedimento entro le successive 48 ore. In chiave preventiva è poi possibile richiedere al Questore l’ammonimento verbale del “bulletto”. L’ammonimento non ha valore penale, ma se il soggetto reitera la condotta, e si giunge a sentenza, allora vale come aggravante. E’ poi ovviamente possibile seguire la via penale, depositando anche in questo caso denuncia-querela nei confronti dell’autore del reato. La legge sul cyberbullismo, forse per la prima volta, affronta un fenomeno complesso con un approccio innovativo e integrato. Non solo repressione, ma anche prevenzione e educazione nelle scuole.
Insomma, l’italia ha gli strumenti per tutelarsi? La risposta come si può vedere è sì. In alcuni casi, gli strumenti sono più lenti, e occorre un intervento più incisivo del legale e della stessa persona offesa. In altri, vedi disciplina sul cyberbullismo, si assiste a soluzioni che, almeno sulla carta, sono realmente efficienti e, soprattutto, rapide.
Si parla sempre più di fakenews. Cosa fare quando si è coinvolti in azioni diffamatorie ?
Per quel che qui rileva, la fake news altro non è se non una notizia falsa. Se la falsa notizia ha come conseguenza la lesione della reputazione di una persona fisica o giuridica, allora si perfeziona il delitto di diffamazione previsto dall’articolo 595 c.p. Facciamo anche qui un esempio: un atleta scrive su una chat di WhatsApp che il proprio agente è un ladro. La notizia è del tutto falsa, ma intanto si diffonde, sconfina sui social network, e poi sui blog. L’agente, del tutto inconsapevole, inizia a ricevere chiamate da parte di altri suoi clienti, che disdicono i contratti. Danni per decine e decine di migliaia di euro, e tutto a causa di una fake news.In casi di questo tipo, la procedura prevede la predisposizione di un atto di denuncia-querela. L’atto deve essere completo e fornire al pubblico ministero il maggior numero di informazioni possibile (il tentativo è sempre quella di facilitare il compito della Procura, fornendo informazioni circostanziate e ben organizzate). Insomma. Se siete vittime di un persecutore, organizzate le vostre informazioni, tenete copia delle comunicazioni, siate in grado di dimostrare gli elementi essenziali del reato.Una buona prassi è inoltre quella di richiedere al content provider (e ai motori di ricerca) la rimozione dei contenuti pubblicati (e della loro indicizzazione tra i risultati di ricerca). Nel corso del dibattimento la parte offesa potrà poi costituirsi parte civile per richiedere il risarcimento del danno (e la rifusione di tutte le spese sostenute).