Il clickbaiting è un metodo perlopiù sensazionalista per catturare l’attenzione del lettore. Titoli, immagini e video spesso ingannevoli o quanto meno esasperati, per generare più click possibili sul proprio sito. E’ una pratica con la quale le redazioni online e le web agency remunerano le proprie attività, aumentando e dirigendo flussi di traffico sulle pagine in cui vengono ospitati banner pubblicitari.
Il fenomeno, letteralmente “esca da click“, è l’applicazione digitale del sensazionalismo e di tante altre strategie per coinvolgere quanto più pubblico intorno ad una trasmissione, un video, una notizia. E’ diritto di tutte le agenzie e di tutte le redazioni, ospitare banner pubblicitari, e vedere remunerato il proprio lavoro anche grazie alle pubblicità. Ma c’è un limite etico, deontologico. Un post sensazionalista, enigmatico, volgare, o a volte del tutto fuorviante se non palesemente menzognero genera si la curiosità, ma non sempre questa viene approfondita cliccando sulla pagina pubblicitaria. Ci troviamo nel limbo tra le attività di clickbaiting e la produzione di fakenews.
Il rischio che si corre è che il lettore, già abituato da tempo a leggere solo il titolo, e per questo esistono tutt’ora i titolisti nelle redazioni, ora legga solo il titolo del post. Se quel titolo ha utilizzato la strategia del clickbaiting, e la notizia non corrisponde al titolo, si generano le cosiddette fakenews, ovvero le balle.
La lettura è sempre più distratta, veloce. Un titolo può catturare l’attenzione, ma se non si converte in una lettura, non solo si rischia di non monetizzare con la pubblicità, ma si diffondono notizie errate, infondate. E’ diritto di tutti ospitare pubblicità e monetizzare i propri utenti, è un dovere morale farlo responsabilmente.