Quando si parla di turismo si rischia di parlare a vanvera, senza sapere cosa è, come lo si fa, chi sono gli attori economici e quali sono le variabili che determinano il settore prima, il mercato poi. Negli ultimi anni si è iniziato a riconsiderare il concetto di turismo e soprattutto di turista. I contesti socio-politici, i terrorismi, i trend, le mete e le politiche adottate per sviluppare turismo, il digitale ed i nuovi attori del mercato, stanno ridisegnando il concetto stesso di turismo.
Per parlarne abbiamo interpellato Luca Caputo, esperto di turismo, e più precisamente Food Tourism Consultant & Digital Coach – UniSalento Research – Advisory Board Member on Digital Tourism of BiT Milano.
Oltre alla conclamata professionalità e alla riconosciuta specificità, l’intervista a Luca Caputo nasce dal desiderio di approfondire sulle evoluzioni in corso, e averne una visione allargata. Una vera immersione nella competenza, lontana dalle improvvisazioni e dalle mediocrità che circondano il settore.
Allora benvenuti e buona lettura.
Come tutti i mercati, il turismo è stato radicalmente scosso dalle novità digitali. Il 2.0, ovvero il passaggio dal transazionale al relazionale, ha obbligato gli operatori ad interpretare nuove esigenze, a stravolgere le proprie logiche. Se volessimo riconoscere le principali caratteristiche di un mercato turistico 2.0, di quali dovremmo tenere maggiormente conto?
Le tecnologie hanno sicuramente inciso in maniera determinante sul mercato turistico, è evidente il modo in cui è cambiata l’offerta e, di conseguenza, la domanda. Nelle fasi di scelta e organizzazione del viaggio si è passati da pochi autorevoli referenti (agenzie di viaggio, tour operator, hotel) ad una miriade di interlocutori (Online Travel Agency, blog, social, influencer, B&B) che si trasformano in altrettanti punti di contatto (touchpoints) e incidono in maniera più o meno decisiva nella scelta e nella tipologia di viaggio che si andrà ad acquistare.
Il percorso che porta al viaggio, tecnicamente definito Travel Customer Journey, è sicuramente molto più articolato e frammentato di quanto non fosse qualche anno fa: è un viaggio nel viaggio! In un mercato turistico 2.0 occorre dunque conoscere molto bene il Travel Customer Journey dei propri potenziali clienti, attivando ogni strumento possibile per presidiare i touchpoints ed essere presenti e utili in ogni fase del processo decisionale.
È difficile anche definire i confini di questo mercato in continua evoluzione ma è sicuramente possibile individuare alcune caratteristiche fondamentali: la personalizzazione dell’offerta e dei servizi, l’uso dei dati per prendere decisioni in tempo reale, l’approccio mobile-friendly e la crescente integrazione della realtà aumentata che apre scenari inediti. Meriterebbe un discorso a parte tutto lo scenario delle Internet of Things, che comprende quel mondo di dispositivi che comunicano e scambiano dati tra di loro per prevedere, ad esempio, in quali giorni, in quali orari e dove si muovono i turisti su un particolare territorio, dove si concentrano i loro acquisti, da dove provengono maggiormente per poi attuare strategie in linea con quel particolare target di mercato.
In Spagna e in regione Piemonte esistono già diversi esempi di utilizzo di Big Data e Internet of Things applicati al turismo che hanno dato modo di scoprire dove dormono, dove e come spendono i turisti suddivisi per nazionalità. In questo modo, hanno scoperto ad esempio quali sono i turisti che spendono di più, con ricadute benefiche su tutto il tessuto economico. Il risultato è che, con questi dati alla mano, si capovolge il costrutto di base: non sono più i turisti che scelgono le destinazioni ma le destinazioni che adeguano l’offerta ai turisti che vogliono far venire sul proprio territorio.
La tendenza è quella di considerare il turismo sempre più “digital”, ma proviamo a fare chiarezza. Cosa significa turismo digitale? Quali sono le dinamiche di un mercato turistico che guarda sempre più alla rete?
Nell’ultima Borsa Internazionale del Turismo svoltasi a Milano, l’argomento del mio speech era proprio incentrato sul tema “Resta sempre connesso”. Un turismo digital implica un turista sempre connesso tecnologicamente, sempre alla ricerca di soluzioni di viaggio in linea col suo stile di vita: che sia uno short-break per rompere con la quotidianità, un viaggio bleisure ideale per unire impegni di lavoro a momenti di svago o una vacanza più lunga di tipo leisure l’unica cosa che davvero conta è poter scegliere (e riprendere) in qualsiasi momento la valutazione delle soluzioni, la scelta e l’acquisto, anche di notte o la domenica quando si è comodamente a casa a valutare con calma.
È per questo motivo che si parla non più di una logica multichannel (comunicazione su più canali) ma di una logica omnichannel in cui la gestione dei canali di comunicazione lavorano insieme e si integrano per garantire un’esperienza utente fluida e continua, con l’obiettivo finale di accompagnare quanto più efficacemente possibile alla prenotazione finale. Ultimo ma non meno importante: il digitale ha ampliato la capacità di raggiungere segmenti turistici molto specifici, in cui non è importante “fare numeri” ma definire la propria Unique Selling Proposition per conquistare tanti piccoli mercati spesso molto remunerativi. In altre parole, è necessario definire la nicchia cui ci si rivolge e capire “dove” e come farlo: nel digital comunicare a tutti equivale a non comunicare a nessuno.
Esistono delle controindicazioni nel considerare così centrale la digitalizzazione del mercato? Non c’è il rischio che il territorio, ed un’organica considerazione strategica dello stesso, perdano l’opportuna centralità? Il rischio principale è identificare il digitale con la strategia: il sito web, i social, sono solo una piccola parte di una pianificazione di marketing che dovrebbe esprimere il brand in tutte le sue sfumature, dal linguaggio che si usa nel comunicare con i turisti (tone of voice) fino alla valorizzazione e formazione dei collaboratori o degli uffici pubblici di informazione turistica che, con i viaggiatori stessi, hanno a che fare in prima persona.
Il resta sempre connesso, infatti, è anche una questione di relazioni: relazioni umane e relazioni col territorio.
In un mondo sempre più digitale, il turista vuole restare sempre connesso, vuole connessioni col territorio e coi suoi abitanti. Stringe relazioni (interessi, motivazioni di viaggio) in rete, si muove seguendo relazioni e le condivide nei luoghi.Si muove ed è attratto dalle connessioni che si generano prima, durante e dopo il suo viaggio.
Non a caso una ricerca di Amadeus parla di “tribù” di viaggiatori e Copenaghen ha dichiarato morto il turismo così come lo conosciamo, dando il benvenuto al concetto di Localhood: non più un turista che cerca la foto perfetta ma una connessione personale ad un’esperienza condivisa fatta di relazioni, interessi e autenticità. Il rischio per il territorio è di non sfruttare la rete di operatori che concorrono alla costruzione del valore della destinazione: in un mondo di viaggiatori che si muove spinto da motivazioni ed esperienze di viaggio, il turismo non può essere solo appannaggio di hotel e ristoranti. Occorre che ciascun territorio scopra quali sono gli elementi WOW, quelli che lasciano a bocca aperta, che lo contraddistinguono nella sua genuinità.
È un processo lungo, che richiede progettualità, condivisione di visioni diverse, il superamento di logiche egoistiche e inutilmente competitive per promuovere sul mercato non la struttura, non il ristorante ma la destinazione tutta. Il turismo si muoverà sempre più verso luoghi in cui riscoprire il cuore vero dei territori, dove l’artigiano non è protagonista solo nel presepe vivente ma rappresenta l’economia del territorio che può dare una prospettiva di lavoro anche alle nuove generazioni.
I numeri dicono che in Italia il flusso turistico aumenta, eppure le ricadute economiche, occupazionali e sociali sono ferme al palo. Non a caso siamo al 5° posto come arrivi ma al 7° posto come introiti. C’è un evidente incapacità di sviluppare un turismo qualitativo. Da cosa deriva questo handicap e come si può leggere il dato secondo cui il meridione in Italia, anche nel turismo, paradossalmente, rappresenta la zavorra che non riesce a sviluppare pratiche di internazionalizzazione e destagionalizzazione?
Quante volte ho letto che siamo primi al mondo per patrimonio Unesco, quante volte ho sentito lodare il Made in Italy – riconosciuto all’estero come emblema della qualità espressa dal nostro Paese – in tutte quelle che sono le espressioni dell’artigianato, dell’enogastronomia, del design. Di contro, ho sentito ministri della Repubblica dire apertamente che con la cultura non si mangia e ho assistito al colpo di spugna con cui senza esitazioni è stato abolito il Ministero del Turismo.
L’elenco delle eccellenze di questo paese è lunghissimo e caratterizzato dall’espressione di un genio italico che nel corso della storia ha avuto pochi eguali. Eppure siamo sempre lì davanti al fatto compiuto di non saperlo valorizzare abbastanza forse perché, come dico spesso provocando, non ne comprendiamo la necessità né ne abbiamo la voglia.Se inconsciamente pensiamo di essere i più belli del mondo, perché dovremmo migliorare? Se in tre mesi di mercato sviluppato dal turismo balneare ciò che si guadagna basta per campare per altri nove mesi, davvero qualcuno pensa che ci sia voglia da parte di tanti operatori di fare destagionalizzazione? Tra l’altro è il tormentone di ogni anno, puntualmente prima e dopo la stagione ci si ricorda sia urgente destagionalizzare. Sarà per questo che è un termine che non sopporto più, anche perché quelli che la sbandierano ai quattro venti come la cura turistica per questa terra sono spesso i primi a non volerla sul serio.
Sull’internazionalizzazione poi, è difficile fare passi avanti se la maggior parte di chi opera nel turismo parla a malapena una lingua, non ha un sito web efficace e lascia la promozione e la vendita esclusivamente nelle mani di Booking.com. Spesso non ci si rende conto di quanto possa avere più valore una prenotazione diretta rispetto a quelle intermediate dalle Online Travel Agency, che comunque sono utili a vendere e a fare da vetrina internazionale.
Il punto è che sono pochi quelli che si pongono il problema di capire i vantaggi di avvalersi di consulenza o formazione specializzata per poter fare analisi dei dati, che sono tantissimi e provengono da ogni fonte possibile, dal sito web ai social all’email marketing. I dati sono da sempre la ricchezza con cui generare valore per il proprio business, sin da quando esiste la tessera fedeltà del supermercato sotto casa. Oggi che abbiamo a disposizione quasi gratuitamente e continuamente dati per migliorarci, li diamo in pasto a giganti dell’economia che li utilizzano per farci concorrenza nel nostro stesso business. È un po’ masochistico, no?
Il Salento è un caso di studio molto importante, emblematico del mancato rapporto qualità-quantità. Il boom a cui abbiamo assistito negli ultimi 10 anni non ha portato ad un conseguente miglioramento economico, sociale, strutturale dell’intera provincia che si colloca nelle ultimissime posizioni della classifica stilata da “il sole 24 ore”. Cosa non ha funzionato ?
Proprio in questi giorni mi è capitato di leggere un dato molto preoccupante: dopo Palermo, la provincia di Lecce è quella che ha perso più posti di lavoro dal 2008 ad oggi, ben 23.000 unità pari a quasi il 10% in meno. Come si sposa questo triste primato col crescente afflusso di turismo che abbiamo e continuiamo ad avere da tanti anni a questa parte? È vero che i numeri raccontano solo parziali verità ma non si può certo dire non siano espressivi del fatto che questo grande mercato non è ancora diventato una vera e propria industria.
Non ha funzionato la programmazione, semplicemente perché non ne abbiamo mai avuta una. Non è un mistero che, tranne in alcuni virtuosi casi di successo, il fenomeno turistico sia stato completamente abbandonato a se stesso, in una forma improvvisata di autoregolazione che ha portato i territori a essere vittime di un modello di sviluppo turistico non più in grado di tutelare l’ambiente e garantire una pacifica convivenza tra turisti e residenti. Ripensare il turismo non è dunque appena un problema esclusivamente di promozione e comunicazione: è ripensare il territorio favorendo connessioni e relazioni tra tutti i settori, incentivando meccanismi e luoghi che rompano le barriere economiche e culturali tradizionali, integrando le competenze in un mondo sempre più digitale e interconnesso. Quando si parla di politiche turistiche bisognerebbe pensare a come integrarle con le misure relative all’artigianato, all’agricoltura, al manifatturiero, alla pianificazione urbana dei territori.
Per questo poi non ci si deve stupire se, ad esempio, in un mondo che privilegia il ritorno alla terra e all’agricoltura innovativa, in un mondo in cui i turisti vogliono scoprire e vivere il locale e la ruralità, una regione come la Puglia insegua un modello di sviluppo in cui il consumo di suolo raggiunge livelli superiori alla media nazionale. Quando ci si lamenta dei trasporti e si fa propaganda politica sulle infrastrutture, quanti sanno che anche se migliorassimo la rete ferroviaria nei giorni festivi e nei fine settimana le tratte sono comunque ridotte (se non sospese) perché previsto nel contratto con gli operatori ferroviari? Logico che andasse bene per il mondo di vent’anni fa, legato al ritmo e agli orari di uffici pubblici e scuole, ma in un mondo dove la mobilità è all’ordine del giorno e il turismo si sposta proprio in quei giorni, non sarebbe il caso di rivedere anche accordi e contrattualistica nei trasporti?
Rimanendo nel Salento, dopo una così forte concentrazione quantitativa, è necessario ripensare a quale turismo si vuole fare? Ci sono dei rischi legati ad un eventuale graduale crollo della domanda? Cosa urgerebbe fare per scongiurare questa eventualità e come realizzare un turismo utile per generare valore per e sul territorio?
Nel Salento ci stiamo comportando un po’ come la cicala della famosa favola di Esopo, quando sarebbe ora di adottare la mentalità della formica. Si vedono tante nuove idee di imprenditorialità che vengono poco valorizzate, persone che fanno il percorso inverso e migrano dal Nord o dall’estero per venire a vivere qui e portano il valore delle loro relazioni, oltre al vantaggio di recuperare sempre più spesso strutture decadenti nei borghi o masserie nelle splendidi cornici di campagna. In tanti anni ci siamo abituati al brutto, a vedere naturale costruire e urbanizzare in maniera selvaggia solo per far cassa comunale, mentre i centri e i borghi si spopolavano abbandonati alla sporcizia, all’incuria e al vandalismo. Siamo i primi ad abbandonare e bruciare rifiuti pericolosi e a sversare liquidi nocivi nelle campagne, a usare la strada come spazzatura, a sbancare le dune per farne parcheggi. Qual è il modello turistico che stiamo inseguendo? Quello più remunerativo, quello più immediato, quello più dannoso. Agli operatori va bene così perché l’unica regola è che non ci sono regole e tutto si può sempre sistemare, mentre tanti comuni fanno cassa con la tassa di soggiorno, anche se non si sa mai a quanto ammonti e come si riversi in servizi e benefici sul territorio.
Il Salento, così come tutta la Puglia, ha bisogno di valorizzare non appena le bellezze turistiche ma le relazioni che su questo territorio si stanno sempre più intrecciando e generano valore, sia per il turismo sia per i residenti stessi, per i giovani che vogliono una prospettiva in questa terra. La Puglia e, di conseguenza, il Salento hanno vissuto epoche d’oro negli anni in cui il nostro vino, il nostro olio, le nostre produzioni agricole andavano ad arricchire la filiera produttiva in cui la vendita era prerogativa di altri intermediari. Poi la crisi, l’aumento dei costi di trasporto, l’aver inseguito modelli economici differenti dalla nostra tradizione ha portato alla crisi che ancora oggi sentiamo addosso e che porta i nostri ragazzi a cercare fortuna altrove.
Eppure, come dicevamo in una recente riunione a Milano insieme agli amici dell’associazione Pugliesi a Milano, oggi che il Salento e tutta la Puglia vivono questa notorietà è necessario capire come trattenere e trarre valore da queste relazioni che sempre più spesso si intessono e lasciano traccia nei territori.
Occorre una nuova concezione di territorio in cui l’asset principale non siano appena le bellezze del territorio ma le persone, le relazioni che in esso si generano. Attirare turismo lascia il tempo che trova, ciò su cui investire veramente è capire come far diventare il turista partecipe nella generazione di valore della destinazione, sia nell’ottica di investire qui la sua vita e la sua professionalità sia nell’ottica di essere in grado di richiamare altre relazioni, come rete di relazioni egli stesso. Questo è il cambio di visone di cui abbiamo bisogno, altrimenti il turismo sarà l’ennesima economia che ci restituirà un territorio devastato, dopo anni di vita da cicala.