Il problema non è il capo, ma il campo politico.

Le elezioni europee, insieme alle amministrative, ci hanno restituito uno scenario nitido: la Lega Nord aumenta il suo consenso, in un’ottica anti europeista. Il PD risale la china, grazie anche alla lista unica.

La premessa deve essere chiara: le competizioni elettorali seguono binari differenti e non possono essere ne comparabili, ne sovrapponibili. Nel tempo della società liquida, lo è anche l’elettorato, che può trovarsi nelle condizioni di votare alle politiche per il Movimento, alle amministrative per il PD, e alle europee per la Lega Nord. Non c’è nulla di male, non c’è nulla di sbagliato, perché è proprio ciò che capita ogni giorno, nelle nostre scelte quotidiane, nel nostro carrello della spesa.

Su questo stesso blog, già nel 2012 e nel 2013 anticipai ciò che sarebbe accaduto al Movimento 5 Stelle. Il nome di Beppe che scompariva dalla bandiera, conseguentemente al suo defilarsi per lasciare spazio ad un capo politico. Anticipai che per vincere bisognava dichiarare la lista di uomini e donne e renderli visibili e consolidarne la notorietà, costituendo nel tempo una solida reputazione. Anticipai anche il rischio cannibalizzazione dell’elettorato da parte della Lega Nord, spiegandone i motivi, che puntualmente si sono realizzati.


Anticipai che il Movimento, nella sua naturale evoluzione, si sarebbe dovuto strutturare e trovare un punto di equilibrio. Sebbene tutto ciò, e tanto altro, è accaduto, nel frattempo tra sconfitte ed eclatanti vittorie, nessuno si è accorto che le ultime tendenze sono date proprio da quest’ultima mancanza. Ovvero la formalizzazione di ruoli e processi che determinano un’organigramma, orizzontale e fedele ai principi del Movimento, ma che distribuisca non solo i compiti ma anche le responsabilità nelle varie fasi e sui vari livelli.

“I partiti proveranno ad assomigliare sempre più al Movimento, e questo farà apparire (all’opinione pubblica) il Movimento come un partito”; lo dissi e lo scrissi in un libro 4 anni fa. Un’operazione di riposizionamento che Salvini ha saputo da subito intraprendere e che ora sta portando i suoi frutti. Lo fa anche il PD che promuove forme di “attivismo” e di partecipazione diffusa, “dal basso”. Il web e i social, strumenti fondanti dell’azione a cinque stelle, ora sono terreno fertile per gruppi ricchi di risorse professionali e soprattutto economiche. Insomma il tradizionale volta verso l’innovativo, e ciò che era innovativo, se non strutturato, rischia di apparire tradizionale.

E’ necessario perciò che il Movimento, ad ogni scossone, reagisca con maturità e serietà, senza agitazione, ma con determinazione nel ritagliarsi il posizionamento che gli compete, rafforzando le scelte politiche di cui deve mantenere maggiore coerenza possibile. Nel contempo, presidiare il proprio campo, strutturando una strategia complessiva di uomini e mezzi che siano in grado di rispondere con maggiore rapidità agli stimoli provenienti da eventi interni, esterni e competizioni.

Non è una questione di “capo politico”, che per il Movimento è una contraddizioni in termini, ma di campo politico. E’ arrivato il momento di non discutere più del Movimento come una realtà alle prime armi, ormai è una forza di Governo, una certezza per tanti elettori, un dubbio per altri, il male (ed è bene così) per pochi.

Non si tratta di dare fiducia a Luigi Di Maio o meno, ma di iniziare a creare una struttura diffusa, in cui più persone, assumano differenti responsabilità e rendano più snella, funzionale, policentrica una struttura troppo rigida per essere nata e cresciuta nella rete.

A veder bene, non si tratta di una evoluzione, ma di un ritorno all’antico, cioè riappropriarsi del proprio posizionamento, con l’idea ben chiara in testa, di non essere più un Movimento per gli attivisti, ma un patrimonio di tutti gli italiani.

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