Il giorno in cui gli italiani saranno chiamati al voto si avvicina. Il 4 marzo si gioca la partita delle politiche 2018. Queste elezioni non passeranno alla storia per la campagna elettorale più avvincente, anzi. Si tratta di una sfida con pochi elementi di novità, stessi (quasi) protagonisti di sempre e una dialettica desueta. La sfida elettorale è condizionata gravemente anche da una riforma elettorale pasticciata, il cosiddetto Rosatellum Bis.
Per governare servirà aggiudicarsi il 40% dei seggi, una quota totalmente fuori la portata di tutti gli schieramenti.
Scendiamo nello specifico e analizziamo l’andamento della campagna elettorale ed i possibili risultati che ci attenderanno il 5 marzo.
I sondaggi danno in testa la coalizione di centrodestra. Forza Italia, Lega Nord (detta anche Lega ma più appropriatamente in questa sede si continuerà a chiamarla con ciò che identifica questa forza politica) , Fratelli d’Italia e Noi con l’Italia, rappresentano la coalizione che con i suoi arieti: Berlusconi (si ancora lui), Meloni e Salvini, puntano ad unire i voti ed arrivare al 40%.
Da queste parti la campagna è scontata, prevedibile e monotona. Alcuni esperti (forse non troppo) sostengono che Berlusconi sia ancora l’unico in grado di comunicare e di detenere la leadership del centrodestra. Sarebbe meglio fare un discorso inverso: il centrodestra in Italia si è ridotto a non avere un leader migliore di un ottantenne, condannato e incandidabile. Lento, in agonia, fortemente acciaccato. Berlusconi negli anni ’90 rispondeva al modello che lui stesso ha costruito: immagine curata, sorrisi, elenchi puntati, dinamicità, determinazione. Oggi una gaffe dopo l’altra, svampito. Abbraccia il femminismo e l’animalismo, parla ai pensionati e promette dentiere gratis. Insomma, in un Paese vecchio, l’unica speranza è non avere speranza. Al suo fianco Giorgia Meloni, che senza una coalizione, con il suo 6% non avrebbe i numeri neanche per presenziare ad un’assemblea di condominio, insiste su sicurezza, “italiani prima” e mercati economici e non finanziari. Per il resto di piano energetico, industriale, di investimenti in cultura e turismo, insomma di un programma, non se n’è sentito parlare. Forse meglio puntare al Ministero degli Interni? Infine Salvini. L’uomo nuovo da vent’anni. Non c’è che dire, il carisma ed il personaggio si posizionano perfettamente nel segmento della Lega. Rispetta tutte le buone norme della propaganda e cresce sui social. Ma alle urne continua a rimanere impotente. Immigrazione e riforma Fornero occupano l’80% della narrativa (anzi storytelling come amano dire quelli che ne sanno) forse agli italiani serve qualcosa in più.
Poi c’è il centrosinistra. La coalizione guidata dal PD e dal suo segretario Matteo Renzi. Il sostegno arriva da INSIEME che nel senso letterale del termine vuol dire ex Ulivo, PSI e Verdi. Poi c’è Civica guidata dalla “petalosa” Beatrice Lorenzin, al cui interno convergono le anime più centriste, ed infine +Europa lista alla quale, con il sostegno di Centro Democratico, è affidata la speranza di ritorno dei Radicali nel Parlamento. E’ inutile dire che tutti gli alleati del PD messi insieme rischiano di non fare neanche la metà del Partito Democratico stesso, ma sono sicuramente funzionali per i collegi plurinominali. Dopo la scissione del PD il centrosinistra appare frantumato. E’ nel DNA dello schieramento, dove ognuno tende ad apparire più a sinistra dell’altro, fino poi a scoprire che convergono tutti al centro. Chi ha governato paga sempre dazio in termini di consenso, perché non può parlare alla pancia dell’elettorato, e quando lo fa appare poco credibile e Renzi di questo ne sa qualcosa. Nella più rosea della aspettative non si dovrebbe superare il 32-33%. In tutti i casi è la prima volta che Matteo Renzi si propone al giudizio degli elettori, candidato al Senato (organo che lui stesso intendeva modificare radicalmente per eliminare il “ping-pong” del bicameralismo perfetto) lui potrebbe vincere a mani basse ma il rischio è che la sua coalizione resti ferma al palo in vista di una grande coalizione con il centrodestra.
Infine, ma non certo ultimo, almeno stando ai sondaggi, il Movimento 5 Stelle. La direzione che in questa stessa sede venne raccontata 3 anni fa, e in pochi ci credettero, è chiara. Il Movimento per vincere ha bisogno di tendere alla formalizzazione di ruoli e processi. Via dal logo l’indicazione beppegrillo.it, nuova associazione con connotati più politici che sociali, strutturazione di un’organigramma che dai vertici arrivasse capillarmente sui territori ed infine un capo politico, candidabile e coerente. La mutazione è avvenuta, ha richiesto più tempo di quanto supposto in questa sede, e nonostante l’incredulità di tanti attivisti, era prevedibile se non scontata. Oggi il M5S rappresenta la prima forza politica del Paese ma ciò non basterà. La quota del 40% è irraggiungibile. E’ la seconda volta che il Movimento si propone in Parlamento, e già per questo non rappresenta una novità. Da apprezzare però la strutturazione del programma condiviso con i cittadini, lo sforzo di liste pulite e la credibilità di chi non avendo mai governato richiede un’opportunità. Tuttavia il caos delle parlamentarie ed alcuni intoppi interni, mostrano un lato del Movimento troppo sensibile alla trasparenza nella misura in cui emerga la ragion di Stato. Luigi Di Maio candidato premier, dovrà essere in grado di crescere oltre qualunque aspettativa e di sopperire alle lacune che il Movimento sino ad oggi ha utilizzato per schernire gli avversari: conoscenza delle lingue e curriculum in primis.
La campagna continua, sui social Berlusconi ha conosciuto una forte impennata (da tener conto che partiva da poco più dello zero), Matteo Renzi e Luigi Di Maio si fronteggiano alla pari, Salvini si conferma. Nelle piazze sembra andare meglio il Movimento che riesce a portare più gente e a mostrare un lato più tradizionale che 2.0, nonostante sia il Movimento nato e cresciuto nel web. Il migliore staff di comunicazione resta quello del PD che identifica in 100X100 il messaggio della campagna, associata alla sostenibilità, realizzabilità e alla credibilità del programma. Giocata sui 100 passi (richiamando il celebre film e cercando di invadere il campo dell’onestà e dei valori antimafia) usando i colori della sinistra. Il centrodestra bene farebbe a svecchiarsi e ad investire su uno staff che non realizzi slogan ma messaggi che posizionino partiti e candidati. Occhio infine ai sondaggi, poco affidabili. Allo stato attuale va infatti considerato che il Movimento subirà più degli altri l’effetto astensione. Infatti gli under 35, cuore dell’elettorato 5 stelle, sono i più sensibili all’astensione. Attenzione anche all’effetto “desiderabilità sociale”, secondo la quale pubblicamente si tende a conformarsi all’opinione prevalente ma all’interno dell’urna…
Verosimilmente Renzi, quanto Berlusconi e Salvini potranno godere di questo effetto.
Come andrà a finire? Semplice: il voto non porterà a nessuna maggioranza e si dovrà ricorrere a tecnicismi, così vinceranno tutti (così diranno), perderemo tutti (così diremo).